
Come declinare il concetto di potere in una riflessione che metta in gioco (se non in questione) l’immagine contemporanea, in particolare quella cinematografica? La riflessione sul potere, fortemente influenzata, nell’ultimo secolo, dal pensiero di autori come Foucault, dalla rilettura di Aristotele da parte di Hannah Arendt o Giorgio Agamben, ha evidenziato che parlare di potere significa parlare di una relazione interna ai soggetti e non come entità esterna ad essi.
L’immagine contemporanea del potere è quella della rete e non della piramide, di una complessa ramificazione di rapporti in cui siamo immersi. Ogni discorso sulle immagini non può non partire da qui, da questa prospettiva.
Il potere è dunque onnipresente, in ogni rapporto sociale; l’immagine non gli è esterna ma si pone concretamente all’interno della rete di relazioni che fondano il rapporto tra sapere e potere. Ma è proprio l’articolazione di questa rete a costituire la specificità del cinema come forma che si pone al tempo stesso come espressione e come resistenza ai rapporti di potere, secondo la formulazione di Foucault: «Là dove c’è potere, c’è resistenza». Il cinema, nel corso della sua storia, è stato capace di riflettere i rapporti di potere sia all’interno del proprio dispositivo, sia tramite la creazione di immagini nuove. Se la dinamica dei rapporti tra immagine e potere è dunque complessa, esistono diversi modi di declinare la questione, di mostrare come l’immagine cinematografica si costituisca come spazio di pensiero sul (e in alcuni casi del) potere.
Potere/Potenza. Anzitutto si tratta di pensare il potere come potenza dell’immagine, di interrogarsi su cosa può il cinema, cosa ha pensato di poter essere: è il rapporto tra potere e potenza (e dunque, di converso, anche una riflessione sull’impotenza dell’immagine). Riprendendo le riflessioni di Agamben sulla potenza di essere (come di non-essere) dell’immagine, si può pensare il cinema sia come grande dispositivo di creazione delle immagini che come potenza dell’immaginario, rimediazione del rapporto tra uomo e mondo (Casetti). Di converso, se pensato lungo tutta la storia del Novecento, quella del cinema è anche la storia di una impotenza: seguendo il Godard delle Histoire(s) du cinéma, il cinema non è stato in grado di redimere né di trasformare il mondo. Si tratta allora di riprendere, criticamente, le grandi teorizzazioni sul cinema lungo la storia del XX secolo, spesso incentrate sulla potenza del cinema stesso: dalla potenza trasfigurante del cinema in Epstein, al suo potere di riconfigurazione del mondo in Benjamin; dalla potenza di pensiero dell’immagine in Ejzenštejn fino alla capacità di ripensare in profondità il rapporto dell’immagine con il reale secondo Bazin. La domanda si sposta dunque dal piano ontologico (che cos’è il cinema?) a quello etico e politico (che cosa può il cinema?), incontrando dunque anche la riflessione di autori come Deleuze e Agamben.
Lo sguardo sul potere. Il cinema crea immagini e, così facendo, crea narrazioni. Il racconto del potere ha assunto nel corso della storia del cinema diverse forme, diverse facce. Quella trasfigurante del grottesco di visi, corpi e gesti di figure del potere, dai corpi ejzenštejniani fino alle maschere del potere disseminate lungo tutta la storia del cinema italiano (da Petri a Ferreri, passando per le rappresentazioni zoomorfe ne Il potere di Augusto Tretti), e recentemente riportate in auge da registi come Sorrentino. Il problema della rappresentazione attraversa tutto il cinema di impegno politico, ma ciò che lo caratterizza più nel profondo è il fatto di mettere spesso in gioco la dialettica tra visibilità e invisibilità. Tra la rappresentazione in eccesso del potere – come ciò che travalica l’umano – e l’assenza di rappresentazione dello stesso, in un cinema che si concentra sugli effetti di un potere invisibile, assente, costituito dal trono vuoto che è capace però di creare in continuazione immagini di se stesso, attraverso i corpi soggetti al potere.
Il cinema e il potere. È il potere inteso come potere politico, economico e sociale in relazione all’industria cinematografica. È il cinema come frutto di una relazione spesso conflittuale, a volte perfettamente armonica. Dal cinema di propaganda, funzionale alle logiche di potere (e al tempo stesso capace di raccontarne l’immaginario, come nel cinema di Leni Riefensthal), al cinema underground, indipendente, fuori dagli schemi, che ha permeato di sé la storia della settima arte. Il discorso qui incontra la dimensione più concretamente politica ed economica del cinema inteso dunque come sistema produttivo. Dall’assorbimento di tutta la produzione cinematografica sotto il controllo statale (come nel caso del cinema nazista), fino alla creazione di potenti gruppi industriali, in grado di orientare scelte e modelli estetici (come nel sistema classico hollywoodiano). Ma tale dinamica non è stata mai chiusa, mai leggibile come forma di controllo assoluto sulle immagini. Ed è proprio qui che tale dialettica mostra la sua complessità, tra le pieghe e i dettagli di immagini che spesso rivelano il loro contenuto nascosto, inconscio, altrimenti invisibile. Si tratta allora di leggere il cinema anche sotto la prospettiva di una dialettica di tal fatta, evidenziando la complessità dell’immagine cinematografica, sia che essa si collochi all’interno di un sistema, sia che si pensi libera e in contrapposizione a questo.