
Riflessioni sul rapporto tra corpo e mente, corpo e percezione e corpo e identità hanno caratterizzato la maggior parte dei dibattiti teorici concernenti i film studies. Specialmente a partire dalle posizioni fenomenologiche che richiamano la prospettiva filosofica di Maurice Merleau-Ponty, si riscontra una concentrazione intorno agli aspetti emotivi e affettivi del film in riferimento al corpo spettatoriale, inteso come corpo esperienziale. Il cinema viene concettualizzato come un momento di incontro, contatto con l’altro reso esperibile attraverso i sensi. Il corpo assume il ruolo centrale della percezione e della conoscenza, rete senziente e affettiva, oltre che oggetto d’osservazione. Andando oltre un approccio oculocentrico, la prospettiva fenomenologica si concentra sull’essenza corporeo-materiale dello spettatore, inteso come essenza “cinestesica” (sinestesica, cenestesica e cine-estesica). Il cinema viene visto come esperienza radicalmente incarnata, permettendo allo spettatore di assimilare i film somaticamente, con tutto il proprio corpo. L’esperienza cinematografica è di natura tattile, aptica, la pelle come organo di percezione e comunicazione, una superficie simbolica interposta tra il sé e il mondo esterno (Sobchack; Marks; Wahlber; Barker; Malavasi; Chamarette). Il ruolo della corporeità dello spettatore come soggetto e oggetto di emozioni è centrale anche nello studio di Linda Williams sui body genres che si caratterizzano per l’infrazione della distanza tra spettatore e oggetto nel ricercare eccessi che provocano reazioni fisiche manifeste, il pianto nel melodramma, il grido nell’horror e il piacere sessuale nel porno (Williams).
Lo spettatore come entità corporea, non essenza passiva di informazioni ottiche, risulta sempre più centrale con le innovazioni tecnologiche mediali e percettive che portano la stessa esperienza incarnata ad evolversi a livello senso-motorio, somatico e acustico, dal Dolby alla VR. Il perfezionamento della tecnologia, come il brain imaging o la scoperta dei neuroni specchio, ha inoltre, inevitabilmente, allargato lo studio degli assetti neurali in riferimento all’esperienza filmica nelle riflessioni di stampo cognitivista, per capire cosa avvenga nel cervello dello spettatore nel momento in cui vengono esperiti specifici brani di film. Le scienze sperimentali di tagli cognitivo si stanno aprendo verso un “cognitivismo fenomenologico”, concentrandosi sia sugli aspetti costitutivi del corpo sia dell’ambiente, dell’azione e delle tecnologie di indagine, arricchendo ulteriormente la riflessione intorno alla dimensione emozionale dell’esperienza cinematografica (Shimamura; Nannicelli e Paul Taberham; D’Aloia, Eugeni; Grabowski; Guerra, Gallese).
Tuttavia, oltre che a livello teorico nell’esperienza filmica, messa a punto dall’approccio fenomenologico, come superficie percettiva, il corpo ha un ruolo centrale naturalmente nei processi di elaborazione ed espressione del sé. Il cinema, così come altre arti visive (Ravesi), dalla rappresentazione del corpo è partito per riflettere sull’identità di genere e sulla sessualità, dalla dimensione performativa e politica (Butler) alla mascolinità/femminilità (Bruzzi; Rigoletto; Reich, Catherine O’Rawe; Malavasi; Albert, Carluccio, Muggeo, Pizzo), come simbolo di crisi dell’identità e del soggetto (De Gaetano; La Polla). A partire da questo quadro teorico si possono individuare alcune direzioni, a titolo esclusivamente esemplificativo, verso cui orientare la riflessione sul tema.
Corpo ed estetica della carne. Considerato un sottogenere dell’horror, il body horror mostra il corpo umano in maniera cruda, esponendo spesso un corpo abietto (Kristeva) che ha perduto integrità e forma a seguito di aberrazioni e abomini, alterazioni, putrefazioni, mutilazioni, deiezioni, decadimento e morte, rilasciato rifiuti e secrezioni corporee. Si pensi naturalmente al cinema di Cronenberg, la cui fluidità dei corpi in continua trasformazione e disfacimento viene vista da Shaviro come una fascinazione visiva dettata da una dinamica masochistica. Nel mostrare il corpo nella sua “primordiale materialità”, in maniera diretta e viscerale, viene messa in discussione sia l’unità del soggetto sia il rapporto di distanza tra spettatore e immagine dell’abiezione. Passando per la New French Extremity e il cinema du corp, la violenza estrema atta a sconvolgere e disturbare l’esperienza spettatoriale torna prepotentemente anche nelle tendenze contemporanee del prestige horror (Dudenhoeffer; West; Huckvale). Dal cinema di Cronenberg emerge anche l’idea di una biologia postmoderna in cui le nuove tecnologie accrescono l’esperienza corporale, da Videodrome (1983) a La mosca fino a Crimes of the Future (2022). Il corpo è pervaso da nuove tecnologie. L’intersezione mostruosa tra aspetti fisiologici e tecnologici è al centro di altri numerosi film a partire da Akira (Ōtomo, 1988) e Tetsuo: The Iron Man (Tsukamoto, 1989) fino a Titane (Ducournau, 2021) arrivando alle soggettività che riformulano i rapporti di gender, una dimensione post-gender, post-umana, come la body-machine e il cyborg (Haraway; Braidotti).
Corpo militarizzato/corpo traumatizzato. Robert Burgoyne parla del corpo del soldato come “un medium di esperienza sensoriale” e “body at risk”, facendo riferimento all’esperienza del conflitto in prima persona mostrata nel documentario Restrepo (Hetherington, 2010). Le storie e le memorie del conflitto vengono iscritte direttamente sui corpi dei militari così come le tracce traumatiche dell’esperienza, si veda anche la figura del reduce, dal neorealismo in poi (Schoonover), richiamando a livello figurativo rappresentazioni pittoriche come Guernica (1937) di Picasso o I disastri della terra (1810-1820) di Goya. Nonostante la guerra abbia radicalmente cambiato natura in epoca moderna, in primis con l’introduzione di aeromobili a pilotaggio remoto, il cinema continua riflettere sulla “haptic geography”, cercando di restituire l’esperienza somatica del conflitto armato. Il corpo del soldato rimane al centro della narrazione sia nel documentario che nel cinema di finzione, l’esperienza incarnata della guerra, l’intensità adrenalinica dello scontro. Inoltre, come afferma Andreescu, il corpo del soldato è spesso un corpo militarizzato, un corpo differente da quello che esperisce la quotidianità, un corpo-macchina potenziato da armi e visori che acquisisce differenti capacità.
Corpo e sessualità. Il corpo è anche oggetto di analisi nelle prospettive teoriche delle ricerche sulla mascolinità al cinema (Neale; Silverman). A partire da generi cinematografici, particolarmente maschili, dal noir all’avventura dal war movie all’action, gli studiosi hanno riflettuto su come il cinema possa riformulare e riarticolare alcune prospettive sulla mascolinità, esplorando anche scenari trasversali, politici e sociali, sia soggettività maschili egemoniche sia rappresentazioni non normative (Abbott; Grønstad; Ralph Donald, Karen MacDonald; Gates). Se a partire specialmente dal blockbuster americano degli anni Ottanta, il cinema action si è concentrato sul corpo scultoreo dei suoi personaggi, da Sylvester Stallone ad Arnold Schwarzenegger, negli ultimi anni, alcuni film sviluppano il corpo femminile rendendolo mascolino, sganciandosi da uno stereotipo di genere che prevedeva l’uomo come unico portatore di un corpo allenato e muscoloso. Yvonne Tasker conia ad esempio il termine “musculinity”, fusione tra muscolature (muscolatura) e mascolinity (mascolinità), facendo riferimento a film come G.I Jane (Scott, 1997), Charlie’s Angels (Munday, 2000) o Tomb Raider (West, 2001).
Inoltre, studiosi e studiose di teoria femminista hanno ampiamente esplorato, negli ultimi anni, identità culturali incarnate in molteplici forme, in linea con un approccio fenomenologico e post-strutturalista andando a soffermarsi sul corpo femminile come un’entità materiale, politica e culturale, indivisibile da strutture simboliche e discorsive (Del Rio; Ince; Lindner; Kroll).
Corpo/maschera. Dalla commedia italiana in epoca del boom economico, in cui l’uomo urbanizzato, moderno e tecnologico va incontro ad una crisi esistenziale portata dal capitalismo industriale, il cinema italiano si arricchisce di personaggi ridotti a maschere, figure caricaturali, segnate da una pulsione svincolata dal desiderio, “da un fagocitamento di facili miti” (Roberti). Lontano dal vigore atletico come indice di erotismo, che contraddistingueva i personaggi della commedia degli anni Cinquanta, i corpi di questa carrellata di mostri sociali cambiano i connotati, si avviano alla deformazione, sottomessi a spinte inarrestabili e primordiali, colti da tratti nevrotici, tic, gesti di stizza, che sfociano in attacchi d’ira e violenza. Il corpo sociale deflagra sotto forma di maschera mimetica o idiosincratica (De Gaetano). I corpi affetti da isterismi e nevrosi, simbolo della fragilità del soggetto nel suo rapporto con il mondo, continuano a diffondersi nel cinema italiano, dalla drammaturgia bozzettistica del corpo-maschera degli anni Sessanta, fino ad arrivare all’epica grottesca dei freaks di Ciprì e Maresco, dove il copro sub-umano muta in mostruoso.