Non più scrivere la vita della gente. Ma soltanto la vita. La vita da sola.
Jean-Luc Godard, Pierrot le fou
La scrittura della vita individuale ha costituito un momento decisivo nel percorso artistico, culturale e teorico interno alla dimensione pubblica delle società occidentali. La biografia – di eroi, sovrani, santi, notabili, celebrità, sino agli individui comuni – ha infatti da sempre accompagnato i processi di autocoscienza delle comunità nazionali, intrecciandosi strettamente con le riflessioni coeve sui rapporti tra storia e memoria, sulla sensatezza dell’esistenza, sulla costellazione valoriale propria di un dato gruppo, nonché sulla narrazione come risorsa ermeneutica decisiva per la comprensione della realtà. Più di recente, la vita individuale è diventata uno degli oggetti principali delle forme di (auto)rappresentazione – anche oltre reality show e selfie – trasformando la biografia in una condizione discriminante e legittimante per un ampio ventaglio di pratiche e attività, dalla lotta politica alla ricerca accademica.
Il cinema nasce in strettissima contiguità con la pratica biografica: ricostruire la vita delle personalità passate era infatti uno degli obiettivi dichiarati della nascente industria filmica, nonché uno dei motivi di maggiore fascinazione per il pubblico dell’epoca. Nonostante il successo di pubblico, almeno sino agli anni Sessanta, il filone biografico ha sempre riscontrato una scarsa attenzione da parte della critica – che lo riteneva un ambito convenzionale e poco innovativo – e degli autori stessi, restii a cimentarsi con opere biografiche per le numerose limitazioni imposte, nonostante le eccezioni, come Gance, Ejzenštejn, Ford, Rossellini sino a Truffaut, Herzog e Jarman. Negli ultimi anni, invece, il cinema biografico è diventato un filone di enorme successo, intercettando l’interesse di produttori, autori, pubblico e sempre più di critica, come premi, incassi e personalità coinvolte testimoniano.
Sono diversi i motivi che ne stanno determinando la fortuna odierna, rendendo evidente come il cinema e l’audiovisivo in generale siano un territorio congeniale per interrogare la “svolta biografica” che sta segnando la cultura contemporanea. Al di là della storia del biografico, ancora tutta da scrivere e di enorme interesse per una riconsiderazione critica del genere, tre sono gli ambiti nei quali si declina con maggiore evidenza l’attualità del biografico tanto come spazio quanto come strumento per una ricognizione critica della cultura visuale del presente.
Il biografico come genere cinematografico. La recente proliferazione di opere di carattere biografico ha mostrato come raccontare la vita sia un’esigenza trasversale alle culture e alle forme di espressione, cinema e letteratura su tutte. È così emerso una sorta di filone autonomo e in perenne trasformazione, caratterizzato però da una eterogeneità che impedisce ancora l’individuazione di confini di genere precisi. L’individuazione di tali caratteri – formali e tematici – diventa allora uno degli obiettivi principali per la ricerca accademica interessata a questo filone. Come pensare insieme infatti opere molto diverse tra loro quali ad esempio Io non sono qui di Haynes e Bohemian Rhapsdoy di Singer, oppure The Iron Lady di Lloyd e The Sun di Sokurov? È possibile delineare i caratteri di un approccio personale e autoriale al biografico, come in Scorsese, Greenaway, Bellocchio o Larraín, rispetto a una produzione più convenzionale? Inquadrare con precisione la produzione contemporanea spinge inoltre a interrogarci sulla relazione con le opere del passato, provando a chiedersi se esista una modernità del genere in contrapposizione a una sua classicità, in termini strettamente deleuziani, per esempio all’interno delle singole cinematografie e produzioni televisive nazionali. Nel contesto italiano, ad esempio, ci sono elementi in comune tra l’epica risorgimentale delle origini, le mitologie romane di quello fascista, il contro-biografico di Rosi e Montaldo, il biografico impegnato dei primi anni Duemila come I cento passi, le fiction Rai e le varianti postmoderne di Sorrentino? Oppure, quale rapporto sussiste tra la ricostruzione della Grande Storia nel periodo d’oro del biografico hollywoodiano tra anni Trenta e Cinquanta e la recente poetica delle “vite minori” di Clint Eastwood? Inoltre, il concetto di biografico è un criterio utile per ripensare la stessa storia delle cinematografie nazionali, soprattutto di quelle che lo hanno mai adottato come categoria interpretativa. Tuttavia, è un criterio capace di articolare una storia alternativa da affiancare alle letture acquisite? Attraverso la lente del biografico, è possibile arricchire la nostra interpretazione della storia di queste cinematografie e in generale delle produzioni audiovisive nazionali? Infine, data la sua trasversalità, il biografico può essere un termine capace di dischiudere una prospettiva comparata tra cinematografie tenendo assieme tempi, geografie e media eterogenei e distanti tra loro. Esiste allora una tensione biografica che attraversa la storia del cinema e mette in rilievo analogie e differenze tra queste molteplici pratiche cinematografiche e televisive?
Il biografico come filone politico. Già nell’etimo, la vita (bios) che interessa la scrittura è politicamente determinata. La relazione sempre più stringente tra vita individuale e politica ha reso evidente come raccontare la vita sia anche e soprattutto confrontarsi con le pressioni del potere sui corpi e sulle condotte, così come con le strategie biopolitiche che regolano capillarmente le nostre società contemporanee. Da questo punto di vista, il biografico è dunque un filone doppiamente politico. Da un lato, infatti, la sfera del potere continua a costituire un ambito di interesse primario dal quale attingere. Se gli studi sul cinema biografico avevano evidenziato come alla fine del secolo scorso i cosiddetti “idoli di produzione” erano stati soppiantati dagli “idoli di consumo” (Lowenthal), mostrando dunque una predilezione per la cronaca a scapito della Storia, oggi al contrario è evidente che il racconto delle vite legate a potere e politica sia preminente rispetto ad altre tipologie biografiche, come testimoniano film molto diversi tra loro quali Hammamet di Amelio, Vice di McKay, Marie Antoinette di Coppola, o The Darkest Hour di Wright. Esiste un rapporto tra la capillarità della presenza degli esponenti politici nella cronaca quotidiana e questa ritrovata centralità degli idoli di produzione nelle opere biografiche? Inoltre, come cambiano le rappresentazioni di queste figure nel corso degli anni? Sono rintracciabili le medesime funzioni rispetto ai decenni passati? Dall’altro lato, raccontare la vita di una figura realmente esistita è di per sé una scelta politica che concerne un più generale diritto alla biografia. A chi spetta tale diritto? Quali sono le condizioni storiche e culturali che determinano l’accesso a tale diritto? Infine, nella biografia classica la vita individuale è stata concepita come un insieme omogeneo e coerente, tanto internamente nel suo decorso quanto esternamente nei suoi rapporti con una comunità di riferimento. Oggi, al contrario, il diritto alla biografia non può essere distinto da un diritto alla differenza e alla metamorfosi come condizione di una piena soggettività. Come cambia il racconto biografico in relazione a questa nuova concezione della vita?
Il biografico come condizione estetica. La crescente presenza dei dispositivi tecnici nella gestione e nel potenziamento della vita individuale ha reso chiaro come la vita stessa sia un continuo terreno di mediazione, facendo sì che il suo racconto apra feconde possibilità di esplorazione delle mutevoli condizioni estetiche di relazione tra il soggetto e il mondo. La vita individuale non è dunque separabile dalle forme di (auto)rappresentazione che la radicano in un immaginario condiviso. Al tempo stesso, la vita si costruisce sempre attraverso strutture e dispositivi di mediazione. Si pensi ad esempio al caso di Elisabetta II in The Queen di Frears o nella serie The Crown: in entrambi i casi, la vita della protagonista dipende direttamente dalle cornici mediali che di volta in volta garantiscono l’efficacia della sua immagine pubblica. Da questo punto di vista, il biografico può allora andare oltre gli stretti confini di una vita individuale per pensare alla scrittura di una vita indeterminata, una vita come pura immanenza (Deleuze), dove il biografato diventa un intercessore attraverso il quale riflettere su problemi estetici che attraversano il contemporaneo. Esemplare in tal senso è Selfie di Ferrente, nel quale le dinamiche di autorappresentazione messe in atto dai due protagonisti eccedono ampiamente il perimetro delle loro esistenze per farsi discorso generale sulle pratiche di soggettivazione attraverso i mezzi di riproduzione tecnica. Esiste dunque un cinema biografico capace di far uscire «la biografia individuale dalla sua idiozia» per «trovare l’elemento politico che si è nascosto nella clandestinità dell’esistenza individuale» (Agamben) e interrogare le condizioni estetiche che definiscono oggi le nostre comuni esistenze?