
Il comico è una categoria connessa a quella di riso, come forma di espressione tipicamente umana, e a quella di commedia, che invece identifica un genere specifico letterario, teatrale e cinematografico.
Il comico è un effetto che nasce dalle cose e dal rapporto dell’uomo con esse. Rapporto che è organicamente segnato da uno scarto, da una disarmonia, da una impossibilità di composizione armonica, da cui si genera appunto un effetto comico. Quando questo scarto ci mette in una posizione di superiorità (è la nota posizione di Bergson) noi ridiamo.
Tutta la slapstick comedy (Keaton, Chaplin ecc.) è fondata su uno scarto comico di questo genere: il soggetto si trova alle prese con un mondo materiale ostile e smisurato, e con una prassi che non riesce a governare. Ma alla fine comunque di questo mancato governo non ne muore, anzi ne esce fuori bene convolando verso un happy end.
Questo scarto può riguardare anche una dinamica relazionale, come nel caso di Stan Laurel e Oliver Hardy, dove vediamo all’opera non solo il maldestro interagire pratico con il mondo, ma soprattutto all’interno della coppia stessa. Come nella presa di coscienza ritardata di ciò che accade nella loro interazione.
Questa dinamica relazionale fallimentare, ma mai devastante, riguarda anche il comico moderno e le interazioni comunicative e non meramente pratiche del soggetto con il mondo stesso: Play Time di Tati è un esempio notevole.
Dunque il comico nasce da uno scarto e il riso è espressione di comprensione di questo scarto e del carattere strutturalmente “eccentrico” – come dice Plessner – della natura umana.
Questo scarto che per quanto riguarda il comico è soprattutto connesso al corpo, dunque alla sua maldestrezza o alla sua inadeguatezza rispetto alla situazione in cui si trova.
Una questione centrale è quindi quella che del corpo comico, del sentimento che abbiamo del corpo nel momento in cui viene a fallire l’integrazione pratica.
Il corpo comico diventa anche oggetto di una specifica raffigurazione, quella che caratterizza la sua rappresentazione grottesca. Come ci ha detto Bachtin, il grottesco è una rappresentazione esagerata del mondo, che ha perso l’integrazione armonica ed organica delle sue parti. Questa esagerazione fa scattare l’effetto comico perché mette in questione la forma organica del mondo, che identifica il potere regale e l’organizzazione gerarchica della società, deridendola.
L’esagerazione grottesca del mondo e della sua rappresentazione determina un effetto di presa in giro e di critica di un presente prossimo, di cui una elaborazione narrativamente compiuta non riesce a farsi carico (come pensava Dürrenmatt).
Importanti esempi sono ascrivibili alle esagerazioni grottesche in pittura: dallo Hieronymus Bosch di La battaglia tra il carnevale e la quaresima fino al Georg Grosz de I funerali di Panizza.
Il cinema italiano è stato capace con grande forza di rappresentare in forma grottesca il mondo, in una duplice direzione: una quella del “puro grottesco”, di ascendenza medievale-rinascimentale (esempio massimo un certo Fellini), un’altra di ascendenza romantica, per riprendere Bachtin, dove il grottesco smette di essere rigenerativo e si fa critico e “nero”: qui rientrano tutti i grandi autori della commedia all’italiana con le loro maschere “nere”, da Dino Risi a Pietro Germi a Elio Petri a Marco Ferreri a Lina Wertmüller.
Prossima, ma non coincidente con il comico, è la commedia. Che è un genere letterario, teatrale e cinematografico, che accompagna la stessa civiltà occidentale, e la cui prima teoria troviamo nei pochi riferimenti che ci sono rimasti nella Poetica di Aristotele.
Ma è certo che per esserci commedia deve esserci intreccio. Questo intreccio può associarsi sia al riso, quando un effetto comico nasce dall’intreccio stesso, sia al semplice happy end. In epoca medievale, come testimonia lo stesso titolo della commedia dantesca, la commedia era legata più al finale felice che alla capacità di generare riso. Per esserci commedia, deve esserci integrazione sociale finale (perfino con Dio, come nella cantica del Paradiso).
Naturalmente, questa integrazione sociale finale è accompagnata dal riconoscimento reciproco tra i diversi personaggi. Tale riconoscimento presuppone equivoci e fraintendimenti precedenti, derivanti in primo luogo da quello che è uno dei grandi strumenti del dispositivo comico-commedico, e cioè la maschera. Molte commedie di intreccio sono fondate su simulazioni e mascheramenti, attraverso cui il soggetto mette alla prova il suo stesso desiderio: dalla sophisticated comedy (Lubitsch, Hawks, McCarey) alla commedia italiana anni trenta (Camerini, Blasetti).
La maschera permette al soggetto di giocare con la sua identità, dunque di scoprire la felicità di una non totale identificazione di sé con sé. Dallo scarto all’interno dell’io nascono buona parte degli effetti commedici. La felicità della commedia (e dunque anche la sua pedagogia) passa per l’accettazione della realtà, che non è mai questo (come dice Frye), ma è perenne divenire.
E la maschera comica ce lo attesta, permettendo al soggetto di ricominciare senza risolversi in via definitiva in un unico intreccio (le maschere della commedia dell’arte).
Quando la maschera non si fa sfilabile e coincide con il soggetto abbiamo l’humour, la fissazione comica che coincide con la figura dell’oppositore sociale al cambiamento, rappresentato dal senex iratus che si oppone alle nozze dei giovani (Due soldi di speranza di Castellani). La fissazione del “carattere” nella commedia riprende uno degli elementi che Bergson aveva dichiarato come generativi del comico, cioè la “fissazione”, la rigidità opposta alla elasticità della vita.
Ma all’interno della forma commedia (e dunque di una architettura narrativa) abbiamo spesso l’insorgere della eccezione e singolarità comica, la maschera che rifà se stessa affermando l’originalità e vitalità della spinta pulsionale che sconfessa ogni ruolo sociale, come per esempio la maschera di Totò.
Immaginata sia nelle forme della eccezione comica che nelle forme dell’architettura narrativa commedica, tutto ciò che individua la sfera del comico si radica profondamente nelle forme di vita che contrassegnano la quotidianità. E in questo la forma comica e quella commedica hanno mostrato un intreccio decisivo (sia confermativo che rinnovante) con la popolarità dell’arte cinematografica.