Il concetto di atmosfera è il cuore pulsante del progetto della Nuova Estetica avviato da Gernot Böhme, volto a rilanciare una teoria della percezione che parte dall’esperienza sensibile e affettiva generata dall’incontro con il mondo circostante. Costruendo la sua teoria dell’Aistetica a partire dalle riflessioni di autori come Hermann Schmitz e Hubertus Tellenbach, Böhme individua nelle atmosfere l’«oggetto percettivo primario», ovvero ciò che un soggetto avverte istantaneamente entrando in uno spazio, previo qualsiasi processo di decodificazione. La centralità della dimensione patica è ciò che sottrae l’estetica alla sfera dell’interpretazione e della valutazione, abbracciando un’idea di percezione che ha a che fare con il modo in cui siamo coinvolti in determinate situazioni affettive. L’atmosfera è un sentimento spazialmente effuso (Schmitz 2023) che permea una porzione di spazio indefinita e avvolge il percipiente a partire dall’esterno, invitandolo ad accordarsi con essa attraverso un coinvolgimento dal carattere preriflessivo. Pertanto, è esperita attraverso una modalità percettiva olistica che non corrisponde all’elaborazione di segni distinti, bensì alla ricezione immediata di impressioni simultanee.
Questa ridefinizione dell’estetica non solo è alla base di una nuova teoria dell’esperienza, ma offre nuovi modelli significativi per l’analisi dell’opera d’arte. L’estetica delle atmosfere permette infatti di interrogarsi sul ruolo giocato dagli elementi atmosferici nella creazione e nelle modalità in cui si esperisce un’opera: secondo Gernot Böhme, l’irradiazione atmosferica di un qualsiasi artefatto artistico è il risultato di un «lavoro estetico», ovvero l’insieme delle operazioni messe in atto per predisporre in un soggetto, o in uno spettatore, una precisa disposizione d’animo. Inoltre, Tonino Griffero, il cui lavoro costituisce il maggiore contributo al dibattito sulle atmosfere in Italia, afferma che l’arte non è altro che una forma di intensificazione delle atmosfere che ci circondano, che ci concede di esperirle in maniera più controllata.
Nel caso del cinema, la possibilità di configurare e registrare queste «entità mediane» (Somaini 2006) che stanno tra soggetto e oggetto è alla base della capacità del medium di intessere profondi legami tra le tonalità affettive sprigionate da un ambiente e i personaggi che lo popolano. Ciò emerge nel saggio L’uomo visibile di Béla Balázs, in cui alla riflessione estetologica sul cinema si intrecciano i concetti di Stimmung, aura e atmosfera, al fine di delineare le modalità attraverso cui lo sguardo della macchina da presa è in grado di offrire allo spettatore una percezione inedita del mondo, mettendo in risalto le proprietà espressive degli elementi che lo compongono.
Tale capacità non risiede unicamente nella progettazione del corredo oggettuale che riguarda la messa in scena, ma si estende anche a tutte le componenti del lavoro estetico alla base della realizzazione di un’opera cinematografica: i valori compositivi, cromatici, luministici o sonori, unitamente alla scelta dei movimenti di macchina e al montaggio concorrono nella trasmissione di specifiche disposizioni d’animo, a cui lo spettatore è invitato ad accordarsi. In tal senso, possiamo arrivare a individuare nell’atmosfera del film o della serie televisiva un vero e proprio oggetto di apprezzamento estetico sia dell’opera in sé (l’atmosfera di C’era una volta in America), sia di aggregazioni di opere (l’atmosfera del noir o del media franchise di Star Wars), fino a costituire un oggetto autonomo che può essere riprodotto e riconosciuto (un’atmosfera felliniana). Inoltre, in termini di estetica geografica, se l’atmosfera è un sentimento effuso nello spazio di un’ontologia primaria (foresta, giardino, casa, città), si può analizzare il lavoro estetico che si attua per operare una trasformazione in ontologia secondaria (dall’atmosfera di Venezia all’atmosfera di Morte a Venezia), con i conseguenti effetti di ritorno dell’opera sull’atmosfera di partenza (il contributo dei film di Woody Allen o di Martin Scorsese all’atmosfera di New York). In accordo con questo processo di documentazione e trasformazione dello spazio, anche le condizioni metereologiche e ambientali di un luogo reale possono essere usate per generare atmosfere affettive in grado di trasmette sentimenti come paura, melancolia, tristezza o felicità (il cinema del galiziano Lois Patiño). L’immaginazione spaziale di carattere produttivo consente poi di costruire atmosfere prive di un referente nell’ontologia primaria, come nei casi della sinistra atmosfera del planetoide di Alien o di quella sognante del castello di Cenerentola.
Ci interessiamo dunque alle «condizioni strutturali o intrinseche all'allestimento di un film tali da renderlo atmosferico» (Tawa 2022), ovvero alle strategie impiegate dal cinema e dalla televisione per generare atmosfere differenti, mediante le possibilità offerte dai media stessi, attivando processi trasformativi sia sul piano narrativo che sul piano dell’immagine.